Daniela Cremona nasce nel 1955 in
Venezuela da genitori emigrati dalla
Valtrebbia. Rientrata in Italia vive e
studia a Piacenza, conseguendo la
maturità classica al Liceo Gioia, da
dove ha inizio il suo impegno politico:
prima nel Collettivo della scuola, poi
in un costante lavoro di coordinamento
cittadino dei Collettivi del Movimento
studentesco, a seguire nel Comitato
antifascista militante, presieduto da
Paolo Belizzi, del quale alla fine degli
anni Settanta coordina la segreteria.
Iscritta a Filosofia in Statale a
Milano, Daniela studia e dà esami, ma
preminente è l’attività politica.
Militante del Pcd’I (m-l), orienta il
suo impegno anche verso la classe
operaia, con un intervento di propaganda
nelle fabbriche di Podenzano (Gabbiani e
Tecnitub), che mediato dalla sua
curiosità umana e intellettuale si
trasforma presto in inchiesta sociale.
Dopo i lavori giovanili (campagne del
pomodoro, aiuto alla pompa di benzina
antistante la piccola officina meccanica
paterna), nei primi anni Ottanta sceglie
la condizione operaia: è assunta come
manovale dalle FFSS. Delegata, è in
prima fila nel Movimento dei Consigli
che si oppone allo smantellamento per
decreto della scala mobile, e milita poi
per molti anni nella Cgil piacentina.
Con l’esaurirsi della spinta operaia e
la crisi irreversibile dei diversi
modelli di socialismo reale, comincia
una fase di approfondimento critico
della teoria marxista. Daniela è
instancabile animatrice del Centro Karl
Marx di Piacenza (dove avviene
l’incontro fraterno e fecondo con
Piergiorgio Bellocchio) e del Centro di
iniziativa teorica e politica (Citep) di
Milano, per cui cura con Francesco Contu
nel 1989 la pubblicazione di: P.
Giussani, F. Moseley, E. Ochoa,
Prezzi, valori e
saggio del profitto,
Atti del convegno internazionale sulla
teoria economica marxista, organizzato
alle Stelline l’anno precedente. Allarga
i suoi orizzonti culturali e nel 1991
partecipa con il fondatore Amedeo Anelli
alla nascita di «Kamen’. Rivista di
poesia e filosofia», a cui fornisce
preziosa collaborazione per vent’anni.
Gestisce la ristrutturazione della
Biblioteca del Dopolavoro Ferroviario
alla stazione centrale di Milano, e sarà
poi chiamata alla redazione di «Amico
treno».
Nel frattempo ha ripreso
a studiare e nel ’95 si laurea con una
tesi sui «quaderni piacentini»: a detta
dei suoi amici Piergiorgio Bellocchio e
Edoarda Masi, la ricerca più completa e
approfondita su quella rivista. Nel 2004
tiene la relazione di apertura al
convegno dedicato a Grazia Cherchi
“Ridefinire la politica. Storia e
presenza di «quaderni piacentini»
(1962-84)”, organizzato a Piacenza da
Bellocchio e Gianni D’Amo.
Già seriamente malata, partecipa dal
2006 e fino alla prematura scomparsa nel
2012, all’esperienza politico-culturale
di Cittàcomune, di cui, col modesto
stipendio d’impiegata, è tra i
principali sostenitori anche nella
autogestione economica.
Silenziosamente generosa, innanzitutto
di sé e del suo tempo, si tiene sempre
un passo indietro rispetto alla ribalta.
Daniela ha incarnato al meglio ideali,
scelte e stili di vita di una
generazione di militanti della Nuova
sinistra, affacciatisi negli anni
Settanta alla politica, che senza farne
il trampolino di lancio per più o meno
nobili carriere, hanno saputo mantenersi
fedeli a se stessi. C’è una descrizione
di questo nuovo tipo di militante in un
pezzo di Giovanni Jervis (“Psicologia e
politica nella vita quotidiana”, in
«quaderni piacentini» n. 56 del 1975),
che sembra ritagliata su di lei: «Queste
persone si presentano come vitali,
passionali, capaci di un legame emotivo
profondissimo con gli amici, i compagni,
gli altri militanti… esse sono dotate di
una grossa carica di ottimismo e di
amore per la vita. La necessità di
disciplina e di rigore, l’abitudine alla
modestia e al sacrificio personale, la
rinuncia agli agi e spesso agli antichi
affetti, non solo non provocano un
inaridimento della affettività, ma
sembrano esaltarla e la spostano su di
un piano di rapporti interpersonali che
è molto diverso da quello tradizionale,
stretto nelle pastoie dei circuiti
amicali e familiari. E anche il rapporto
con le esigenze del corpo e con il
piacere della immaginazione si fa più
semplice e diretto».
Daniela è stata, come altri della sua
generazione, una risposta pratica alla
domanda «come vivere?», incluso il modo
in cui ha affrontato il decennio di
coabitazione con i due tumori, che se la
sono portata via prima dei sessant’anni.
Un modo di essere e comportarsi non
facile, in un contesto di consumismo
individualistico, che nel Nord del mondo
già sul finire del secolo scorso ha
sconfitto o svuotato dall’interno classi
subalterne e movimenti, nonché le loro
culture, tra globalizzazione e
ipertrofia mediatica.
Cittàcomune nasce nel 2006
praticando rapporti non mediati,
personali, vis à vis, come premessa di
un impegno collettivo non omologante o
eterodiretto. Consapevoli che non
c’erano garanzie di sorta, «tantomeno di
facile successo», abbiamo provato a
tenere insieme «versante morale del
vivere politico e versante politico del
vivere morale», a «restringere la
forbice tra com’è e come dovrebbe
essere… Per sentirci meno soli, meno
inutili, meno infelici». Una proposta
forse troppo ambiziosa, soprattutto per
i giovani cui si rivolgeva, che non
l’hanno compresa né fatta propria. O
forse fuori tempo.
Cittàcomune oggi ne prende atto e
fa un passo indietro. Si orienta a un
impegno che sarà meno pubblico: volto da
un lato a un’attività seminariale di
approfondimento, non schiacciata sulla
figura e visibilità mediatica del
presidente (un uomo solo al comando non
va bene, tantomeno a Cittàcomune);
dall’altro a non disperdere e
valorizzare il molto già fatto, in
primis attraverso pubblicazioni a
stampa, a partire dalla ricerca di
Daniela Cremona sui «quaderni piacentini»: del resto,
sono stati quei lontani anni di studio
la premessa del fruttuoso rapporto di
alcuni di noi con Piergiorgio
Bellocchio, essenziale per la nascita e
la vita dell’associazione.
La scelta di dedicare a lei questa
nostra tessera (ed è possibile sia
l’ultima, almeno nella forma del
ritratto personale) vuol rendere omaggio
a una donna che, lungo quarant’anni di
impegno, ha vissuto all’insegna di «dare
il meglio per nulla», senza ricevere né
ricercare successo o personali
gratificazioni. Ma vuole anche lasciare
traccia e memoria di molti militanti
amici suoi (alcuni ormai settantenni o
più), la cui dedizione ha costituito
l’ossatura dell’esperienza
autogestionaria di Cittàcomune,
l’indispensabile retroterra di centinaia
di incontri pubblici: pensati, preparati
e proposti alla città con la massima
cura, come ci è stato riconosciuto da
tutti, ma proprio tutti, i tanti
autorevoli relatori invitati in diciotto
anni. Nessuno dei quali, è bene
ricordarlo, ha mai ricevuto altro
compenso se non le sobrie spese di
viaggio e l’ospitalità. Ospiti grati.